Cultura

“Salviamo il teatro”: la crisi del mondo teatrale raccontato da tre attori tranesi

Antonio Digiaro
Christian di Filippo
Christian, Michele e Pierluigi raccontano la propria difficile situazioni da attori professionisti
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Il 6,1% della ricchezza totale prodotta in Italia riguarda ilnsettore culturale che in questi tempi difficili sembra essere per unnattimo messo da parte per far fronte ad un’emergenza sanitaria chenha, giustamente, altre priorità.

A livello nazionale iniziano a crearsi collettivi (come quello din“Attrici e attori uniti”) o gruppi di categoria per stilarencomunicati da mandare “ai piani alti” o per unirsi in una lottancomune. In queste categorie artistico/culturali rientrano gli attori:ni teatri sono stati i primi luoghi pubblici ad aver chiuso e chenprobabilmente saranno gli ultimi ad aprire. Per questo abbiamonchiesto a tre attori professionisti tranesi di fare un attimo ilnpunto della loro situazione lavorativa: Michele Lattanzio, PierluiginCorallo e Christian di Filippo vengono da tre “annate teatrali”ndifferenti, ma continuano a fare il loro lavoro come tutti, versandoncontributi e partecipando alla “res publica”. I tre attori hanno giratonun video in cui rivendicano il diritto di dover far sentire lanpropria voce.

Cosa vuol dire fare l’attore adesso? n

Christian: “Ho letto di un poliziotto che ha multato un musicista -n“non un lavoro valido” per lui – poiché aveva violatonl’isolamento per recuperare i propri strumenti musicali. Ora io,ncome artista, ho il dovere di continuare con tutte le mie forze e lanmia arte a far capire a gente come quel poliziotto che noi non siamoninvisibili. Si sarà mai innamorato questo poliziotto? Avrà maindedicato una canzone ad una fidanzata? Avrà riso o pianto davanti anun film? Avrà mai raccontato una storia a suo figlio prima di farlonaddormentare? Ecco. Quello fanno gli artisti: cercano di avere unnruolo comunitario per tutti. Ovviamente i ruoli comportano lavori, inlavori comportano compensi ed i compensi comportano tasse. Ritornarena leggere forse la tragedia greca con degli esperti che non sianonnecessariamente attori, credo che possa farci tornare a rendercinconto di quanto la comunità in tutte le sue espressioni sianfondamentale per la nostra crescita, perchè il non vedere comporta odio. Queste cose le ho assorbite anche grazie a Marco Pilone che anTrani con il suo teatro Mimesis cerca di fare un lavoro sulnterritorio, crea comunità e racconta bellezze. In questo momentonduro (a me, per esempio hanno annullato una tournée) fare l’attorenvuol dire stringere i denti, ma questo porta ad un lavoro sullennostre sensibilità. Perché credo che lì sia la chiave di tutto.n“All’arte possono arrivare tutti, ma al mestiere no” mi ènstato detto. Bisogna rispettare ovviamente il dolore di tutti. E poinse la mia città di Trani è candidata a Capitale della Cultura vuolndire che un certo spirito esiste in tutti quelli che la abitano e chensanno certamente a cosa mi riferisco“.n

Qual è la situazione della cultura in Italia?

Pierluigi: “Parlare di cultura in Italia è un compito forse tropponcomplesso anche se sicuramente nella mia esperienza professionale honvisto sparire un certo modo di intendere la cultura nel nostro paesenper trasformarsi rapidamente in qualcos’altro. È un cambiamentonglobale che non riguarda solamente l’Italia. Il nostro paese però hansubíto un ventennio buio dove i vari enti teatrali sono statinostacolati da una politica culturale televisiva orientata solamente ancreare consumatori. L’abbassamento della cultura media nel nostronpaese e la continua revisione delle somme da stanziare per la culturanhanno spinto i teatri pubblici a produrre sempre più numeri e adninseguire di più il pubblico su un terreno commerciale entrando innnetto contrasto e ostacolando a loro volta i teatri privati. Questo èncoinciso con un indebolimento della categoria a livellonorganizzativo, a cui si è aggiunto un aumento delle persone chenhanno deciso fare teatro e cinema, spinti da una cultura del facilensuccesso, diffusa dalla televisione. Per cui oggi c’è moltanconfusione in che cosa significhi essere un attore in Italia: uniconcomune denominatore è l’assoluta precarietà con cui si svolgenquesto lavoro, e la sgradevole sensazione che gli attori, che nonnriescono a diventare dei nomi famosi al grande pubblico, non siano innrealtà attori, pur avendo magari frequentato un’accademia dinrecitazione di livello nazionale, pur essendo stati protagonisti onavendo ricoperto ruoli centrali nelle più importanti realtànteatrali, il loro percorso è percepito dall’opinione pubblica comenqualcosa di amatoriale, come un sogno che coltivano. La conseguenza ènche l’attore se vuole lavorare deve diventare qualcuno, non puònbastare appartenere all’attività di un teatro perché quel teatronnon lavora costantemente con gli stessi attori, per quanto questo sianstato incentivato in qualsiasi modo dalle varie proposte di legge. In questo periodo in cui le nostre attività cinematografiche enteatrali si sono interrotte bruscamente: diversi gruppi si stannonorganizzando e stanno dialogando attivamente fra di loro per portarenavanti delle istanze. Io per primo ho riscoperto il piacere dinconfrontarmi con alcuni colleghi durante questo periodo dinisolamento, su queste tematiche, mi sono iscritto ad un gruppo che sunTelegram condivide proposte e crea tavoli di discussione sui singolinargomenti e lentamente inizio a partecipare anche se ci sono alcunenpersone che dedicano tutta la loro giornata a questo. Durantenl’ultimo anno avevo creato un laboratorio permanente urbano dinrecitazione nella mia città che è stato frequentato da più dinsettanta persone in diversi gruppi di ragazzi, adolescenti e adulti.nOvviamente anche questo è stato interrotto ma ho provato a tenerenviva nelle persone che si sono appassionate a questo percorso, lanvoglia di fare spettacolo anche da lontano. Ho continuato a tenerendelle lezioni virtuali anche se moltissimi partecipanti erano piùnimpegnati durante la quarantena che prima, specie gli studenti“.

Quale soluzione possiamo trovare per la cultura in Italia dopo lancrisi?

Michele: “Dobbiamo, credo, innanzitutto riappropriarcindi un sentimento che, in quest’ultimo triste periodo, ha lasciatonil posto all’odio e al malcontento: il sentimento della bellezza.nQuesta è la base della nostra esistenza. La bellezza della cultura.nUn valore assoluto, determinante, irrinunciabile nella vita di unnuomo. La bellezza nel sentire, nel pensare, nel cercare. Propriandell’uomo è questa facoltà di scoprire , dentro di sé e nelnmondo, la forza per vivere. O per risalire. Risollevarsi sempre.nEcco, ripartire da quello che ognuno di noi ha di bello e magarininespresso dentro di sé. Ed esprimerlo a voce alta, senza barriere,nsenza muri, senza oscurità. Ma questo si fa in un solo modo:ninsieme. Da sempre. È questa la nostra condizione“.

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venerdì 8 Maggio 2020

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