Quando mi reco al capezzale deinvecchi, malati di tempo trascorso ad adempiere ai loro doveri senza pretendere alcunnpiacere, nel loro talamo barocco insostituibile e costato un occhio della testanalla famiglia della sposa, con una piazza vuota e il comodino corrispondente colmondi fotografie da pagellina, trafugate perlopiù da un matrimonio, giacché innquell’occasione si indossa il vestito buono; il più delle volte è la moglie anrestare sola e se ne ha il sentore già sull’uscio, per i mobili stinti manlucidati e il pavimento che si arrossa riflettendo la divisa; gli uomininritengono di essere in diritto di lasciarsi andare e che la condizione ingiustandi vedovi non gli si addica, le donne invece hanno un dovere ancestrale dalnquale non potersi sottrarre, nemmeno nel lutto e nel dolore. Quando mi reco alnloro capezzale, raccontavo, i vecchi hanno lo sguardo dignitoso e altero che oltrepassanle palpebre rese anguste dalle grinze, celano il dolore che è certamenteninadeguato al cospetto del Cristo sulla spalliera e la Madonna pugnalata alnpetto sul comò, hanno più cuscini per respirare meglio, un albero di Natale sfilacciatonche spunta sopra l’armadio e la coppola sul cappellinaio; farebbero volentierina meno della visita del medico e comunque, se potessero, si metterebbero innpiedi all’istante per preparare la bacinella colma d’acqua, il sapone nuovo enl’asciugamani di lino; molti non lo ricordano o non lo sanno, ma una volta sinfaceva così quando si allertava il medico, per rispetto e per educazione. Caroncollega non chiamarla: «la nonna», non domandarle: «doventi fa male, la nonna?»; la signora Maria pende dalle nostre labbra, il suo unicontimore è non comprendere la diagnosi e le medicine che dovrà aggiungere allentante già elencate sopra un foglio affisso sul portapane; prende la mia manontra le sue scarne e ondose mentre i figli circondano il letto e qualcunonsopraggiunge di soprassalto con l’affanno e preoccupato, sono tanti e sononsopravvissuti grazie ai loro sacrifici, loro che non hanno avuto incertezze onpaura di doverne sfamare tanti dopo averli messi al mondo, ma finge di nonnessere interessata alla cura, morire è una condizione come un’altra e lei l’hangià presa in considerazione, tutt’al più raggiungerà il suo amato Antonio innParadiso. Hanno le loro convinzioni inoppugnabili, oltre alle gigantografie deinnipotini sulla parete e una fotografia sbiadita dei loro genitori che tinguardano severi dal passato, ma non si lamentano e alla fine ringraziano, ti dannondel voi; sono così cortesi che ti accomiati con la sensazione di non aver fattonabbastanza. Una volta, pur non essendo uno stinco di santo, a un’anziana suoranin punto di morte, non sapendo cosa dire, le ho chiesto se desiderasse pregare,nlei ha annuito e io ho cominciato: “Miserere mei deus…”, la conosceva anche leina memoria; fuori c’era rumore e dentro, le parole in latino oltre l’irriverenzandi chi tutto gli è dovuto e prima degli altri, lei era sgombra mentre stava morendo.
BIO – Alveare – Lavoro per strada, in mezzo alla gente, ascolto il brusio e ho l’impressione di trovarmi in un alveare; salgo e scendo i gradini delle scale, entro ed esco dalle case, dai reparti ospedalieri, delle prigioni e ho l’impressione di entrare e uscire dalle celle esagonali dei favi di un alveare; scorro le notizie e le storie sul mio pc, su e giù e mi ritrovo di nuovo in un alveare di pensieri e avvenimenti; mi fermo un istante e nella mia mente nasce una storia. Lavoro come infermiere nel servizio emergenza urgenza 118 da quattordici anni ma ho la mania della scrittura, della poesia e del racconto e qualcuno è così folle da concedermi lo spazio per farlo, ma, tutto sommato, è meglio incontrarmi in veste di poeta e scrittore. Buona lettura.