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Lo scontro social causato dalla politica: don Sabino, la foto cool, il culto dell’odio

Donato De Ceglie
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Don Sabino spiega il “selfie con Cristo”
Nella fotografia compare anche il mezzo volto - coperto per metà dalla mascherina - del Comandante della Polizia Locale: pioggia di critiche sui social e nelle chat whatsapp delle associazioni di categoria
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Don Sabino non immaginava neanche di "poter essere ricondiviso" migliaia di volte da sconosciuti, in tutta Italia. Il suo gesto è stato frutto di un discorso elaborato durante l'omelia della celebrazione della Domenica delle palme. E non lo immaginava né per vezzo da maneggiatore di tools social né per eccessiva fiducia nelle sue capacità di predicatore. È accaduto per caso – ma non troppo – come accade sui social a tanti. Esiste un termine in questi casi conosciuto in ambito aziendale: Crisis Management. I brand che si ritrovano a dover gestire una "crisi" sui social sono chiamati ad adottare una strategia a breve termine, monitorando tutti i canali e proponendo un modello di risposta che possa placare i toni. Divieto assoluto di rendersi "tifosi" del proprio brand in maniera cieca, vietato cancellare l'errore o le critiche. Ma la chiesa cattolica diocesana e in particolar modo il Santuario della Madonna di Fatima hanno scelto di cancellare il post, nella speranza che la questione passi presto in secondo piano. Passerà in secondo piano nei prossimi giorni, non prima di Pasqua, dopo aver fatto il giro del web e probabilmente dopo una citazione in alcuni programmi radio-televisivi.

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Il bandolo della polemica è stato inghiottito dall'odio, sentimento che ha coinvolto anche un "ospite illustre" della fotografia pubblicata dal parroco: il comandante della Polizia Locale di Trani. Per questo chiariamo subito: in questa fotografia e nella celebrazione in sé non vi è nulla di sbagliato o quantomeno di non consentito dai Dpcm o dagli orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana. Le celebrazioni in presenza sono permesse e sugli autoscatti realizzati da un sacerdote con i propri fedeli proprio non troviamo regole di buon tono o manuali da galateo presbiteriale sui social network che ci inducano a criticare don Sabino per la scelta.

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Fuori dal culto dell'odio e dai commenti impregnati di frustazione su Facebook, c'è una sfumatura della rabbia che è pienamente condivisibile. E probabilmente lo stesso don Sabino – raggiunto dalla nostra redazione per un commento – oggi ha più consapevolezza della rabbia all'esterno delle mura di una chiesa nella quale è concessa la celebrazione per x persone mentre tutto intorno è costretto tra strappi e sfumature di rosso a fare sacrifici. Ma il colpevole non è di certo don Sabino, il suo scatto ha soltanto messo in luce quelle contraddizioni che da mesi tocchiamo con mano giorno dopo giorno.

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Negli ultimi mesi la nostra redazione si è scontrata a muso duro – subendo anche minacce – con alcuni imprenditori della "movida" quando ci siamo ritrovati a testimoniare lo scarso rispetto delle "regole".  Abbiamo ascoltato le lamentele degli operatori della sanità pressati dalla situazione, contrariati dai nostri servizi sulle chiusure di bar e ristoranti. Abbiamo dato voce alla rabbia di chi ha pensato fosse un controsenso essere invitato ad una celebrazione per 500 nel cortile di una scuola.

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Abbiamo scritto fatti. E continueremo a farlo. E ci limiteremo a questo.

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Ma la politica oggi ha un compito fondamentale: ridare chiarezza. Ad una settimana dalla Pasqua cristiana c'è un Paese che registra ad un anno dall'inizio della pandemia oltre 400 morti al giorno. Morti per i quali c'è chi ancora fa la conta delle patologie per scrollarsi di dosso il peso del "Potrebbe capitare a tutti", morti per i quali il culto della morte è negato. Sacche salma chiuse con la cerniera a U poggiate negli spazi ospedalieri, morti che non possono condividere a pieno l'ultimo rituale – il proprio, quello funebre – con le famiglie. O è lockdown o non lo è. Non ha senso il lockdown leggero, anzi leggerissimo. Le sfumature valgono poco.

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Tra una settimana sarà Pasqua ma non possiamo più parlare di speranza. La politica deve dare una linea netta.
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n“Non mi interessa la speranza – continua -. La speranza è l’ultima a morire, voglio sapere chi è il primo a rinascere”, diceva Bergonzoni al teatro di via Cartoleria nella serata organizzata per scongiurarne la chiusura dopo la cancellazione dell'Ente Teatrale Italiano. Correva l'anno 2010.

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martedì 30 Marzo 2021

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