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Il modello sudcoreano vissuto e raccontato da Giuseppe, uno studente tranese

Vincenzo Avveniente
Giuseppe Mininni
Il sistema di misure adottate a Seoul per contrastare la pandemia Coronavirus spiegata da un giovane concittadino
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In un mondo globalizzato come quello in cui viviamo al giorno d’oggi ogni distanza si può accorciare in un attimo, persino quella che lega Trani a Seoul, in Sud Corea. Sono esattamente 8.765 i chilometri che dividono le due città racchiuse nell’esperienza di Giuseppe Mininni, un ventiduenne tranese attualmente impegnato in terra asiatica per motivi universitari. Iscritto presso la facoltà di Economia e Management Internazionale di Groningen, in Olanda, il suo piano accademico prevede uno scambio di studi obbligatorio all’estero: decollato lo scorso 11 marzo alla volta della capitale sudcoreana, la sua permanenza terminerà verso il mese di luglio.

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Quando, più di un anno fa, Giuseppe ha scelto la Corea come destinazione per il suo “exchange” (casualmente, proprio a dispetto della Cina) mai avrebbe potuto immaginare tutto quello che in questo periodo un numero sempre più vasto di paesi sul pianeta sta vivendo per via della diffusione del Covid-19. La situazione ha rischiato di modificare i suoi piani, ma nonostante questo Giuseppe è rimasto sui suoi passi ed ha deciso di partire.

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Mentre in Italia la situazione si faceva via via più difficoltosa, in Corea del Sud non si mostrava tragica. All’arrivo a Seoul, l’accertamento delle autorità è stato fatto sull’eventuale permanenza di Giuseppe in paesi italiani o cinesi nel raggio delle due settimane precedenti, ma, provenendo dall’Olanda, nessun problema gli è stato contestato. Giunto sul posto, dopo un controllo effettuato con telecamera sulla temperatura corporea, ha ricevuto un documento da compilare con informazioni sanitarie ed eventuali sintomi sospetti: la pena prevista per falsa testimonianza era pari ad 1 anno di reclusione o un’ammenda fino a 10mila euro. Nelle prime due settimane, inoltre, Giuseppe ha dovuto comunicare quotidianamente il suo stato di salute alle autorità del paese attraverso la sua università di provenienza, che ha agito da intermediario e con la quale si è interfacciato costantemente: nessuna quarantena gli è stata obbligatoriamente imposta.

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Raccontando il metodo adottato dalle istituzioni coreane, Giuseppe spiega come tutto ruoti sulla tracciabilità dei movimenti del paziente positivo. Una volta individuato, si cerca di capire con quali soggetti egli abbia interagito negli ultimi tempi: questo viene fatto attraverso gli ultimi movimenti bancari, la localizzazione nei vari posti frequentati, le rimembranze di spostamenti fatti ed in quali orari, fino all’isolamento post-positività. A disposizione della popolazione ci sono app e siti web in cui è possibile verificare tutta la ricostruzione dei percorsi dei soggetti positivi così da confrontare la possibile coincidenza con i propri movimenti: in caso di sospetto, l’individuo che pensa di essere entrato in contatto con il soggetto positivo può sottoporsi a test per verificare il proprio stato di salute. Nel momento in cui emerge un nuovo caso positivo, è lo stesso governo a provvedere all’informazione dei cittadini che abitano o frequentano la stessa zona di quest’ultimo.

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Per quanto concerne invece la “vita della città”, Giuseppe racconta come la Corea non abbia bloccato l’economia e che la maggior parte delle attività continuano ad essere regolarmente aperte, così come i servizi normalmente fruibili. Certo è consigliato agli uffici di affidarsi allo smart-working oppure, ai locali più affollati, di chiudere per precauzione, ma questo non è affatto obbligatorio. Nel caso di questi ultimi, facendo l’esempio di attività di ristorazione e beverage, la decisione il più delle volte è di controllare ogni singolo ingresso: agli utenti sono infatti richiesti i dati, l’indirizzo, l’eventuale riscontro di sintomi, oltre che l’igienizzazione di mani e l’utilizzo di mascherine.

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A differenza del sistema italiano, quello utilizzato dalla Corea prevede quindi una più frequente sottoposizione a test con controllo per i soggetti dai sintomi sospetti: l’esempio riguarda proprio Giuseppe che al terzo giorno in città necessitava di continuare la cura di un normale mal di gola. Prima di consentire la visita da un medico, Giuseppe ha dovuto sottoporsi a tampone e, dopo 24 ore, una volta ottenuto il risultato di negatività del test ha potuto incontrare il medico.

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“Il problema c’è, ma pare non essere così grave perchè ogni singolo prende le precauzioni necessarie e, una volta contagiato, si è consapevoli di avere le sicurezze giuste del governo dal punto di vista sanitario. Loro (la popolazione coreana, ndr.) sono pronti dopo il virus SARS del 2003 ad affrontare una situazione del genere. Le persone hanno timore sicuramente, si nota perchè tutti ancora parlano del Coronavirus, però si continua a lavorare e vivere” conclude il giovane tranese.

domenica 29 Marzo 2020

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